gli anni 20…


Francis Scott Fitzgerald

(1896-1940)

Quando si parla di Fitzgerald si finisce sempre, invariabilmente, con il parlare di George Gershwin, degli “anni folli”, della Costa Azzurra, delle feste del Grande Gatsby. Perchè nei romanzi e nei racconti di Fitzgerald palpitana tutta la velocità e il modernismo degli anni Venti, di certo l’epoca d’oro del dandismo. Anni “folli” li hanno chiamati, quel decennio tra le due guerre, con un passato da dimenticare ed un futuro incerto, fatto di feste, banchetti, sbronze, grandi balli. Poco prima della grande depressione, che avvilì tutti quei personaggi luminosi, irnoci, tragici o comici che popolano i libri di Francis Scott Fitzgerald; pochi anni in cui si concentra tutta la modernità, l’arte, l’avanguardia, il jazz: pochi anni da vivere pericolosamente, assaporando il presente, l’attimo: folli corse in automobile, donne fatali dagli stupendi abiti decò firmati Chanel, feste godute al ritmo d’un grammofono, o dell’orchestrina nera che suona lo stesso charleston infinite volte. Sono questi gli anni vissuti intensamente da Fitgzgerald e da sua moglie Zelda, LA “strana coppia” che ogni sera, nella loro grande villa comprata coi denari che lui si è fatto vendendo racconti alle riviste più in voga, organizzano sontuose, straordinarie feste, in cui l’alcool e la droga, la musica e le donne non mancano mai per nessuno. Si ama, si vive, si gioca: l’effimero, il lusso, il piacere elevato a regola di vita, a sublime divinità cui sacrificare immensi patrimoni. “Sono il signore del transitorio” diceva il conte Montesquiou, e, molti anni prima, Baudelaire scriveva: “Che cosa è la dannazione eterna, se prima si ha provato anche solo un minuto di profondo ed infinito piacere?”. Ciò che prima era regola di vita solo per i dandies, negli anni Venti lo diventa per tutta la gioventù “maledetta”, raffinata, antiborghese e spendacciona che ha combattuto ancora adolescente la prima guerra, e dopo gli orrori della tragedia, approda ad un gioioso ed estetizzante nichilismo. Sono gli anni in cui, appena un giovanotto poteva permetterselo, spendeva i suoi risparmi dal sarto, o dal cappellaio, o dal cravattaio. Sono gli ultimi anni in cui, grazie alla ‘moda’ portata dal liberty ottocentesco, si tenta di fondere in un tutto arte, moda, vita. Tutto deve avere un suo rigoglioso fascino, un certo stile, decadente e sfacciato, eppure moderno, classico e raffinato.
Le feste di Gatsby, evidente riflesso di Fitzgerald, sono un tripudio di smoking, piume di pavone, elaborate acconciature di cui i caldi riflessi ramati fanno pensare ad un’eccessiva insistenza dei ferri caldi, dita ingioiellate, sigarette col bocchino d’argento, lunghi colli nudi avvolti da maestosi giri di perle; ma anche stupefacenti, come l’oppio, l’hascish, l’eroina; il brandy e lo sherry, uniti ad un sigaro adatto dopocena. Gli ingradienti sono gli stessi dei festini d’oggi, ma è la ricetta che è visibilmente diversa, e che fanno di quegli anni una breve epoca irripetibile, affascinante e indiscutibilmente dandy.



Fitzgerald e sua moglie Zelda

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